Paola e gli altri, quei vecchi bambini della casa famiglia

“Sei fortunata, tu che hai gli occhi truccati”. Paola mi accarezza, la mano ruvida e grassoccia. Si avvicina, una distanza quasi inesistente che mi fa arrossire. Sono fortunata, io che ho gli occhi truccati. L’apparente mancanza di significato di quella frase nasconde la saggezza di una disabile di 40 anni. Io che mi trucco, che metto vestiti alla moda comprati in un pomeriggio di shopping con le amiche, lei nella casa famiglia di Piazza Vescovio, vicino al bar da cui li vedevo passare a coppie, mano per la mano, Paola e gli altri, vecchi bambini. Era la mia prima esperienza di volontariato, quella con l’associazione Carlo Iavazzo nella chiesa di San Saturnino. Volontariato: “da voluntas, volontà, un impulso interno accompagnato da una perfetta cognizione di causa”. Anna, la presidentessa dell’associazione che organizza i due incontri settimanali, ci accoglie con biscotti e succo di frutta. Una mamma cresciuta, invecchiata come i suoi “ragazzi”. La stanza piccola, ma viva, colorata dalle maschere di carnevale che avevano disegnato e ritagliato la settimana prima. Accanto all’orologio da ufficio, un quadro con un uomo in carrozzella, il corpo teso nel tentativo di raggiungere qualcosa. Anna ci racconta che è Carlo Iavazzo, il fondatore del gruppo. Un handicap grave e una vita passata a lottare contro l’emarginazione, la ghettizzazione di quelli come lui. Sergio sta alla cassa, nel teatrino che hanno costruito. Due banchi, qualche penna, libri di musica e foglietti di carta che fanno da soldi: il loro mercato, che quel giovedì è diventato anche il mio. Uno dopo l’altro vanno a comprare qualcosa. Attori notevoli. Sergio oltre a dare penne e libri, dispensa foglietti di carta, i loro soldi. Tutti ridono. Luca comincia a “suonare” la chitarra, stiracchiando un sorriso per come la faccia glielo permette. Il fatto che sia scordata e che non azzecchi neanche un accordo è insignificante. In quel mercato che dura un’ora, due giorni a settimana, Luca è Jimi Hendrix. Quanto avrei voluto saper suonare. Essere il suo Noel Redding, bassista della “Jimi Hendrix experience”. Abbiamo cominciato a ridere con loro, io e le mie amiche. Ridevamo perché non potevamo fare altro, o forse solo per il paradosso del fatto che non eravamo noi ad “aiutare” loro, ma il contrario. Paola ci si avvicina, guarda Stefania che racconta del suo nuovo ragazzo, e noi, che la prendiamo in giro perché ne cambia uno a settimana. Dice: “ Me lo fai conoscere?”. 

Be You. Semplice. Conciso. Banale. Ma banale è anche un tramonto. E in questa corsa affannata a chi arriva primo, questa continua ricerca esasperata di una sofisticata originalità, forse a volte una semplice esortazione può essere utile: sii te stesso. Esci da te stesso. Perché a volte ce lo dimentichiamo. Vogliamo un mondo nuovo, ma finiamo per giustificare il nostro disperato tentativo di fare carriera, di ingrandire il curriculum con la scusa del cambiare le cose. Eppure per cambiarle basta una canzone, una recita al mercato nel sottoscala di una chiesa a Piazza Verbano. 

Alessandra Buccini Pietrantonio
360°

Carissimi studenti,
oggi non sono qui per convincere nessuno di voi,convincere è uno di quei verbi che accostato alla beneficenza mi crea un problema d’approccio alla base del mio operare,
-convincere- presuppone un ostacolo alla scelta,io di ostacoli,qui,non ne vedo.
Siamo qui per aiutarci,aiutarci a portare avanti un progetto che ha solo il nome di nuovo,che ha solo la sede e le facce che lo potrebbero comporre e portare avanti nel futuro,l’obiettivo è il più semplice,il più naturale che possa sussistere; aiutarci ad aiutare. E come sappiamo non sono le strutture che creiamo ad avere obiettivi e finalità,ma le persone che le compongono.
Il nome del nostro progetto ‘’Be You’’ è un monito per cambiare il tuo focus,il centro della tua attenzione,per passare a considerare in modo costante,in un rapporto di fiducia e lealtà,gli –altri- al tuo posto; la domanda che solitamente sorge nelle menti dei mediocri oggi giorno è la seguente; cosa ne avrò in cambio.
Non siamo qui a promettere soldi,a promettere di cambiare il mondo,neanche di cambiare la vita di un solo quartiere,siamo qui a promettervi la soddisfazione di guardarvi allo specchio e sentirvi migliori,questa sarà la ricompensa,la ricompensa più banale di sempre in una società costituita da comportamenti difficili,ritorni complessi,scelte accuratamente studiate,dove la spontaneità di un gesto,dove la carità,la bontà gratuita per quanto concetti sentiti e risenti non vengono più applicati. Questo principio che non dovrebbe richiedere grandi preparazione,che non dovrebbe ricevere esemplari presentazioni,è il principio che dovrebbe reggere le basi della nostra comunità e nel contempo quello meno diffuso.
Siamo accusati di essere superficiali,io stessa prima ho usato la parola –mediocri-,di essere una gioventù deviata,non vi chiedo di confutare questa tesi per un senso d’orgoglio,vi chiedo di confutare questa tesi per la speranza,la speranza che davvero l’omologazione non abbia conquistato proprio tutti ,che il menefreghismo non abbia intaccato le basi per il progetto ancora più ampio di rendere questo posto un mondo migliore,quindi nessun discorso sulle fortune che avete avuto nella vostra vita,sui desideri che avete potuto coltivare,esaudire,sulle belle esperienze che avete fatto e che altri non hanno potuto vivere,perché so che il cammino di ognuno di noi nel contempo è disseminato di sconfitte,perdite,sofferenze a volte profonde e sarebbe sbagliato e qualunquista puntare su questo.
Noi puntiamo su una promessa che non ha bisogno di garanzie,la promessa che aprendo gli occhi senza limitarvi a dare uno sguardo disattento all’arredo circostante,ma agendo concretamente,acquisendo consapevolezza su quelle che sono altre realtà,il più delle volte opposte alla nostra,vi arricchirete,sì,arricchirete; l’animo,la testa,le relazione con gli altri.
Non fatemi credere,davvero,che i più,ancora,si differenzino dai poveri della strada,dai poveri che non hanno averi al loro seguito,per una povertà diversa,quella dell’animo.
Diffondiamo Speranza,Aiutateci ad Aiutare.


Irene Forti

Giovedì 4 Marzo ho partecipato, in un’affollata aula di Viale Romania, all’incontro di presentazione di BeYou, la nuova associazione nata su iniziativa di alcune studentesse della LUISS. Vista la frequenza con la quale nella nostra Univerisità vengono alla luce fenomeni associativi, questa potrebbe sembrare una “non notizia”. Così non è. Quella appena nata infatti, non è un’associazione come le altre: BeYou nasce con l’intento di costruire un ponte tra il mondo universitario e quello del volontariato attraverso la creazione di un network con i diversi enti che già operano in questo settore.

Al sottoscritto è parsa subito un’ottima idea. Lo è in sé ma lo è anche e soprattutto perché colma un vuoto evidente: nella nostra Università ci sono tante (forse troppe) associazioni che organizzano eventi e serate mondane mentre purtroppo è davvero molto raro riuscire a trovare gruppi che s’impegnano nel sociale. Lo fanno i singoli in modo autonomo ma è evidente che creare una rete di collaborazioni a disposizione di tutti studenti sia un enorme passo in avanti.

La mia prima esperienza diretta nel mondo del volontariato risale all’Aprile scorso. Nelle settimane successive al terremoto che ha colpito l’Abruzzo ho avuto la possibilità di trascorrere alcune giornate nella tendopoli di Coppito occupandomi prevalentemente di smistamento di beni di prima necessità. E’ stata una pagina molto importante della mia esistenza. Vedere in prima persona quei territori praticamente in ginocchio e trovarmi di fronte agli sguardi immersi nel vuoto di persone che in molti casi avevano perso davvero tutto, ha lasciato un segno indelebile nel mio modo di affrontare la vita. Sembra banale dirlo ma trovarsi immerso in un dramma di queste dimensioni ti aiuta a capire da un lato quanto tu sia fortunato, dall’altro quanto possa essere importante per delle persone in difficoltà poter contare sulla solidarietà e sul sostegno, tanto materiale quanto emotivo, di altri individui.

Dall’Agosto scorso poi, partecipo alle attività di un’Associazione della mia Città che organizza numerose iniziative in favore di portatori di handicap di tutte le età. Se anche voi avete avuto la fortuna di stare a contatto con queste persone, potrete ben capirmi se affermo che sono straordinarie.

Partendo proprio dalle mie esperienze personali, posso garantirvi che la strada intrapresa dall’associazione BeYou per avvicinare noi ragazzi al mondo del volontariato è la migliore da perseguire. Un’ora trascorsa fisicamente vicini a persone che vivono situazioni di disagio vale più di qualsiasi raccolta fondi. Abbiamo bisogno di vedere con i nostri occhi e di toccare con le nostre mani altrimenti non potremo mai capire la profondità e la purezza che si nascondono dietro un gesto di solidarietà.


Nella società attuale, sempre più caratterizzata da un'ipertrofia degli egoismi e dal progressivo sfaldarsi dei tessuti connettivi tra i cittadini, è necessario un moto d'orgoglio delle nuove generazioni in grado di rendere possibile una nuova condivisione dell’idea del bene comune. Quando avremo capito che il mondo in cui vivremo sarà quello che stiamo costruendo ora, allora, forse, non solo saremo invogliati a partecipare attivamente alla vita sociale delle nostre comunità, ma inizieremo anche a coinvolgere i nostri amici ed i nostri coetanei. Ciò sarà possibile però, solo se riusciremo a far passare il messaggio che ogni collettività cammina sulle gambe dei cittadini che la compongono e che la rotta che questa intraprende non può essere dettata solo dalle istituzioni, ma necessita del contributo più incisivo possibile della società civile.

Il volontariato ci aiuta in questa difficile sfida: apre gli occhi di fronte alla povertà, alla solitudine ed alle situazioni di disagio che ci circondano e ci spinge in maniera del tutto naturale e spontanea ad essere noi stessi (BeYou) uscendo da noi stessi.

Qualche anno fa una persona a me molto cara mi ha detto che se pianti un semino, la bontà dei suoi frutti dipende dalla cura e dall’amore con le quali te ne occupi. Le nostre amiche di BeYou hanno avuto il grande merito di piantare un bel seme. Ora non resta che armarci di dedizione e passione.

 

M.P.

 
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